Il senso di una marcia per la legalità
Nell’immaginario collettivo, una marcia per la legalità assume quasi sempre un valenza ambigua.
Da una parte non può che essere un atto positivo e spontaneo. A seguito di certi gesti criminali inqualificabili, viene naturale provare a reagire d’istinto, prendendo le distanze da questi soggetti che con le loro azioni infangano la Sicilia sana, quella che prova a fare impresa o, nel caso di Paolo Borrometi, a raccontare la nuda e cruda verità con le sue inchieste giornalistiche.
Dall’altra si inserisce però il rischio di sembrare impegnati a fare passerella, in un’attività puramente d’immagine che mortificherebbe l’azione di chi invece crede davvero nelle mobilitazioni spontanee.
E’ evidente che chi ha davvero a cuore la prima interpretazione, se ne frega altamente della seconda. Come nel mio caso ad esempio, visto che per essere ieri mattina a Pachino ho fatto – con piacere – più di 800 km in un solo giorno, dovendo poi ritornare a Palermo. Una vera e propria sfacchinata, ma che rifarei se necessario anche oggi.
Credo infatti che non solo oggi più che mai sia importante dimostrare fisicamente la propria vicinanza a chi è vittima di intimidazioni e attentati, ma che addirittura la partecipazione popolare sia la strada maestra per combattere alla radice i presupposti che nutrono questi atteggiamenti pseudo-mafiosi, ovvero la paura e l’omertà.
Dimostrare di non aver paura, mettendo con orgoglio la faccia a difesa della legalità destabilizza le certezze di chi si crede intoccabile di fronte alla legge, ne mina le fondamenta.
La mobilitazione popolare, senza dimenticare il grande lavoro delle forze dell’ordine e delle istituzioni, sarà lo strumento con il quale sconfiggeremo tutte le mafie.