Unione Europea e Covid-19: un appuntamento con la storia
Ospitiamo con piacere un intervento di Stefano Ingallina, Coordinatore Regionale per la Sicilia del Movimento Europeo Italia.
La domanda che tutti si pongono oggi è se l’Unione Europea sopravviverà al Corona Virus. Uno degli effetti del Covid-19 è infatti il rafforzamento dei nazionalismi, causa principale dell’indebolimento del sovranazionalismo UE.
Da oltre un decennio però l’Unione Europea si muove da una crisi a un’altra e oggi sembrerebbe che istituzionalmente, più che epidemiologicamente, l’UE nel suo complesso sia più vulnerabile al virus rispetto alla maggior parte degli stati nazionali.
Fin dalla sua fondazione gli Stati membri si sono impegnati a intrecciare i loro destini nella reciproca solidarietà. Hanno anche concordato di cedere gradualmente la loro sovranità nazionale per un’identità condivisa negli Stati Uniti d’Europa e un’unione sempre più stretta è quanto previsto dai trattati istitutivi.
Ma oggi lo spirito di solidarietà all’interno dell’Europa è pressoché sostituito da una tensione dovuta alla pandemia e ai nazionalismi, espressi sotto forma di decisioni unilaterali e non coordinate intraprese dai vari stati membri. Interruzioni della fornitura di mascherine da parte dei nostri vicini, restrizioni alle esportazioni di attrezzature mediche sono soltanto due esempi della freddezza transnazionale vissuta negli ultimi tempi. E l’Italia si sente, ovviamente, delusa tanto che all’invocazione di un meccanismo Europeo per la condivisione di forniture mediche, la prima a rispondere è stata nientemeno che la Cina. Bello il proprio giardino, vero?
Le chiusure dei confini nazionali all’interno dell’area Schengen poi, con la conseguente sospensione della normale libertà di circolazione nell’UE, in un contesto nel quale i governi hanno paura di apparire deboli e impotenti, hanno avuto il vantaggio di sembrare azioni forti, decisive e inevitabili. Tuttavia proprio in questa occasione l’UE è entrata in gioco, seppur in ritardo, lanciando un appello a salvare il mercato unico.
Ma al di là del mercato e dell’aspetto economico, non possiamo non notare che valori quali solidarietà, fedeltà, processo decisionale, sono dimensioni più nazionaliste che europee. Basti guardare le bandiere sventolate dai balconi in giro per l’Italia, il tricolore domina e nessuna di esse è dell’UE.
In questo senso, Covid-19 è una versione più estrema della crisi dei rifugiati del 2015-16, neppure allora l’UE è riuscita a trovare una risposta unitaria alla questione dei migranti. E nel tempo la storia si è ripetuta in occasione della crisi dell’Euro, così come in tutti gli altri “tumulti” europei.
Ursula Von Der Leyen, vuole, almeno nelle intenzioni, avvicinare l’Europa ai suoi cittadini e renderla più unita e più forte nel contesto degli scontri geopolitici con Cina, Russia e Stati Uniti. Il rischio però è molto alto, perché di fatto ogni insuccesso nell’azione o solidarietà dell’UE è grano per i mulini di populisti, nazionalisti ed euroscettici, dall’Italia all’Ungheria e persino alla Germania. Le loro narrazioni, insieme ad una campagna elettorale basata spesso su falsità e “fake news” generatrici di panico, hanno già portato uno stato membro, il Regno Unito, a voltare le spalle all’UE.
È però soprattutto il Consiglio Europeo l’hub all’interno del quale si esprimono le principali posizioni di egoismo nazionale. Agire in un’ottica nazionalista vuol dire farlo in totale autonomia, senza alcun senso di coordinamento, con poco senso di solidarietà e ancor meno efficacia. Ma il senso di responsabilità istituzionale, nonché il principio di solidarietà che ha contribuito a fondare l’Unione, che fine hanno fatto?
Ci troviamo davanti ad una nuova e imperdibile opportunità per affrontare i grandi problemi, agendo finalmente come un’unica grande comunità che dispone di risorse materiali e immateriali europee. Le istituzioni sovranazionali possono e dovrebbero avere l’opportunità di prendere decisioni nell’interesse generale europeo, sulla base di un principio di solidarietà adottato affinché non si creassero fratture sociali ed economiche. Cadere nell’illusione di poter affidare le decisioni comunitarie ai singoli stati nazionali è probabilmente un’idea stimolante per i soliti noti, ma paralizzante per tutto il resto dell’Unione Europea.
Ripartiamo dunque dal Consiglio Europeo che in quanto organismo composto da capi di stato e di governo dei paesi dell’UE, con la partecipazione del Presidente della Commissione Europea, dovrebbe dare all’Unione Europea quegli impulsi necessari al suo sviluppo, definendone al contempo gli orientamenti politici e le priorità politiche generali. Se davvero ci stiamo muovendo in una direzione d’allargamento dell’UE a nuovi paesi membri come l’Albania e Macedonia del Nord, dobbiamo riorganizzarci, smettendola di parlare di Unione Europea in generale, presentandoci con nuovo modello di governance basato su azioni comuni e non tentativi di coordinamento disorientanti.
Non aver dato peso a quel che accadeva a migliaia di km da noi non ci fa onore. Come non ci fa onore deriderci l’un l’altro quando facciamo parte di una stessa comunità. La lezione che il COVID-19 ci sta fornendo spero possa diventare quello scatto di maturità del quale abbiamo bisogno. Il futuro è arrivato di colpo e ora come non mai ogni comunità politica dovrà dimostrare di poter dar vita ad una nuova solidarietà globale, partendo dalla messa in campo delle proprie risorse morali e materiali.
Ed è ora di rimboccarsi davvero le maniche.
Stefano Ingallina